Le Isole Eolie

Le Isole Eolie, dette anche Isole Lipari, sono un arcipelago dell’Italia di origine vulcanica, situato nel Mar Tirreno, a nord della costa siciliana, che comprende due vulcani attivi, Stromboli e Vulcano, oltre a vari fenomeni di vulcanismo secondario. Le sette isole sono: Lipari, Salina, Vulcano, Stromboli, Alicudi, Filicudi e Panarea.

In ogni isola ci sono fenomeni geologici interessanti ed a volte unici:

  • a Stromboli il cratere è in perenne attività da sempre, tanto da costituire un faro per i naviganti di ogni epoca e la sua attività fatta di periodiche esplosioni viene usata per definire lo stesso tipo di attività per vulcani di tutto il mondo;
  • a Panarea ci sono i “Gorghi ribollenti”, emissioni gassose molto elevate in mare di gas vulcanici;
  • a Lipari ci sono le terme con acque calde sorgive utilizzate fin dai tempi dei romani;
  • a Vulcano oltre alle fumarole sul cratere, ci sono i fanghi caldi curativi da sempre usati per curare la pelle e subito di fianco le acque calde.

Entriamo più nel dettaglio per parlare di curiosità e storia dei vulcani presenti oggi alle Eolie.

A Lipari si trovano molti crateri di vulcani spenti da secoli, le parti vulcaniche più appariscenti sono le cave di pomice, un materiale leggero ed inerte bianco che conferisce ad alcune zone un aspetto lunare. E poi tracce ovunque di fenomeni vulcanici, come alle fumarole del Caolino, la bocca di aria calda a Piano Greca, le Terme di San Calogero.

Lo Stromboli è un vulcano effusivo e le sue eruzioni avvengono con intervalli che possono variare fra un minuto e diverse ore.

La sua attività “ordinaria” ha luogo a una quota di 750 m s.l.m. dalle diverse bocche eruttive presenti nell’area craterica e allineate in direzione nord-est – sud-ovest. Tale attività consiste in esplosioni intermittenti di media energia, al solito durano qualche secondo o decina di secondi, e sono ben separate tra loro, durante le quali vengono emesse piccole quantità di bombe scoriacee incandescenti, lapilli, cenere e blocchi, con velocità di uscita compresa tra 20 a 120 metri al secondo e altezze comprese tra poche decine fino ad alcune centinaia di metri.

L’attività eruttiva è associata a un degassamento pressoché continuo dall’area craterica, il cui volume stimato consiste principalmente di acqua, anidride carbonica, anidride solforosa e quantità minori di acido cloridrico e fluoridrico.

Periodi di totale inattività, senza lanci di materiale, sono piuttosto rari. Il più lungo tra quelli registrati si è protratto per circa due anni, dal 1908 al 1910. Periodi di prolungata quiescenza, della durata di qualche mese, sono stati registrati più volte.

L’attività normale può essere periodicamente interrotta da esplosioni di maggiore energia, dette “esplosioni maggiori”. Questi eventi consistono di brevi ma violente esplosioni, durante le quali vengono prodotti lanci balistici di blocchi e bombe di dimensioni anche metriche a distanze di alcune centinaia di metri, associati a piogge di lapilli e cenere; la distribuzione dei prodotti è solitamente confinata all’interno dell’area craterica.

Le eruzioni stromboliane più violente mai accadute in tempi storici risalgono al 1919 e al 1930. Per la prima e finora unica volta nella storia recente del vulcano, delle colate laviche si riversarono anche al di fuori della Sciara del Fuoco, arrivando a lambire i centri abitati (Piscità fu sfiorata ad appena 20 metri), causando ingenti danni e numerose vittime, e causando un piccolo tsunami che generò un’onda di 2–3 m che arrivò a far danni fino a Capo Vaticano, in Calabria.

A Panarea primi prodotti affioranti sull’isola sono riferibili allo stadio di attività vulcanica indicato come Paleo-Panarea e sono rappresentati da corpi duomici a composizione andesitico-dacitica del settore settentrionale, e da alcune colate laviche coperte da brecce piroclastiche affioranti esclusivamente lungo il settore occidentale. Il fenomeno di origine vulcanica oggi presente a Panarea e che è il più rilevante sono i Gorghi Ribollenti. A partire da 59.000 anni fa, le eruzioni divennero prevalentemente di tipo esplosivo. Sottili strati di scorie scure, attribuite a queste esplosioni, si trovano in diversi punti dell’isola.

Nel lungo intervallo tra le due fasi eruttive, l’isola subì un’intensa azione erosiva da parte del mare e in parte venne coperta da depositi sedimentari di tipo marino.

Le ultime eruzioni avvennero in corrispondenza dell’isolotto di Basiluzzo, tra 59 e 54.000 anni fa. Alla fine di questo ciclo, un’intensa attività tettonica ha sconvolto la morfologia dell’isola: tutto il settore centrale si è ribassato come testimoniato anche dai resti archeologici di antiche terme romane.

L’ isola di Vulcano è sovrastata da un cono vulcanico con la sola attività fumarolica, ma molti fenomeni vulcanici sono presenti sull’isola, dai fanghi alle acque calde fino ad alcune bocche di calore che venivano dette geyser e che in passato si è pensato di sfruttare per produrre energia elettrica.

Negli ultimi millenni, Vulcano ha prodotto una mezza dozzina di eruzioni devastanti. Il cratere della Fossa era attivo, a intervalli irregolari, già dall’antichità, come documentato da scrittori classici. In questa epoca, pare si sia verificata un’attività eruttiva talmente forte da essere udibile fino in Sicilia. Dopo questa data, il cratere della Fossa iniziò una prolungata fase di riposo. Tra il 1727 ed il 1739 è ripresa l’attività del Gran Cratere; in seguito a questo risveglio eruttivo, si è osservata la colata lavica delle pietre cotte. Sono inoltre documentate ulteriori eruzioni nel 1771 e nel 1783.

L’ultima eruzione si è verificata tra il 1888 ed il 1890. Quest’ultima era stata preannunciata nel 1886 da un’eruzione freatica (cioè provocata dal vapore formatosi in seguito al riscaldamento di acqua). Le ultime eruzioni di questa serie sono state di tipo vulcaniano: dal Gran Cratere sono state catapultate delle cosiddette bombe a crosta di pane (lava solidificata) e cenere. Fu organizzata dal governo una spedizione di ricercatori. In particolare, l’eruzione fu documentata dal famoso sismologo Mercalli.

Dai tempi dell’ultima violenta eruzione si registra soltanto l’attività delle fumarole, dunque di esalazioni vulcaniche che consistono nella produzione di vapore e gas vulcanici. Nel caso di Vulcano, si tratta soprattutto dello zolfo, che grazie all’azione dei batteri contribuisce alla formazione di una patina colorata sulle superfici del terreno e dei sassi.

L’attività delle fumarole è documentata da secoli ed è proseguita a fasi alterne fino ai giorni nostri. Se negli anni settanta era molto modesta, a cavallo tra gli anni ottanta e gli anni novanta si registrò un’attività maggiorata che destò serie preoccupazioni.

Il rischio vulcanico è stato definito come «il prodotto tra la probabilità che avvenga un certo fenomeno vulcanico e i danni che esso provocherebbe».

Lo Stromboli, nelle isole Eolie, è in continua attività, con esplosioni che lanciano gas e ceneri fino a 100-200 m di altezza ogni 10-20 minuti. Il vulcano, che si innalza per 924 m sul livello del mare e si estende in profondità per 1500 m, possiede un enorme serbatoio magmatico.

L’isola di Vulcano formata da Vulcanello, sorto dal mare nel 183 a.C. e poi saldatosi all’isola e da La Fossa, un cono con un’intensa attività fumarolica posto sopra la zona del porto, segnala la presenza di magma vicino alla superficie con temperatura elevata dei vapori.

In Italia il rischio vulcanico è tanto grande quanto reale. L’Osservatorio Vesuviano a Napoli, l’Istituto Internazionale di Vulcanologia a Catania, l’Osservatorio Vulcanologico Etneo, insieme a numerosi ricercatori presso varie università, sorvegliano attentamente Campi Flegrei, Vesuvio, Etna, Stromboli, Vulcano e Lipari.

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